L’ex ergastolano Musumeci: Bisogna amare anche i cattivi
«Bisogna amare anche i cattivi, perché l’uomo non cambia se viene trattato male, anzi peggiora». Ad affermarlo è Carmelo Musumeci, ex ergastolano rimesso il libertà dopo 27 anni di carcere, alcuni dei quali passati sotto il regime “duro” del 41 bis.
27 anni, racconta, trascorsi «in una cella di pochi metri quadri, con un letto, un tavolino, uno sgabello, un bagno alla turca nascosto da un muretto di un metro, e un lavandino». In particolare, ricorda: Quando ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis nel carcere dell’Asinara, dovevo lottare tutti i giorni con i topi di fogna, grossi come gatti, che mi entravano in cella dal buco del bagno alla turca».
Poi, il 14 agosto del 2018 è arrivata la scarcerazione, la concessione della “libertà condizionale”.
Musumeci, catanese d’origine ma che oggi vive in nord Italia, sarà all’Oratorio Salesiano di Trapani il prossimo 27 settembre, alle 17, per il “Festival della Libertà” organizzato dall’associazione culturale “Sinistra Libertaria”.
In carcere, Musumeci ha letto tanto e studiato, il tempo l’aveva dopotutto. Ha ottenuto, quindi, tre lauree. Ha scritto alcuni saggi incentrati sulla vita in carcere e, in particolare, sulla propria esperienza. Tre libri su tutti hanno destato il mio interesse: “Diventato innocente”, “Nato Colpevole“, e “Gli uomini ombra” [si trovano in vendita su Amazon]. Il primo è anche un diario delle riflessioni scaturite giornalmente durante il periodo di semilibertà che ha preceduto la definitiva scarcerazione, periodo durante il quale ha prestato servizi sociali a favore dei disabili, soprattutto di un ragazzo cieco («sono più cieco io che lui», scrive nel suo libro).
Allora, quel 14 agosto del 2018, racconta, «quando sono uscito dal carcere mi girava la testa. Il mio cuore batteva forte. In pochi istanti mi sono ritornati in mente tutti i ventisette anni di carcere, con i periodi d’isolamento, i trasferimenti punitivi, i ricoveri in ospedale per i prolungati scioperi della fame, le celle di punizione senza libri, né carta, né penna per scrivere, né radio, né tv. Poi ho scrollato la testa. Ho smesso di pensare al passato».
«Certo che il passato non si può cancellare, ma senz’altro si può migliorare il futuro», conclude a proposito. «Ora devo imparare di nuovo a vivere. Mi aspetta la battaglia più difficile della mia vita: imparare di nuovo a sperare, a vivere, a sognare».
In “Diventato innocente”, Carmelo Musumeci esprime alcune semplici opinioni, da soggetto “informato sui fatti”, sul tema del carcere.
Le sue riflessioni iniziano ricordando il cantante e poeta Fabrizio De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori». Una rima che gli fa pensare: «Forse anche dalle persone cattive come me, può nascere qualcosa di buono».
Sicuramente il tema più “forte” è quello della severità della pena inflitta a chi viola la legge dello Stato. Scrive, in proposito: «Molte persone sono convinte che il terrorismo religioso o politico e la criminalità organizzata si combattano e si vincano con la pena di morte, con la pena dell’ergastolo e con il regime di tortura del 41 bis. In realtà non sanno quanto si sbagliano, perché la storia ci insegna il contrario e il male, da solo, anche se dato in nome della legge o del Dio di turno, moltiplica altro male».
Musumeci, tende le orecchie, ascolta, sente tanta rabbia contro i prigionieri: «Molte persone sono convinte che far star male i prigionieri possa servire a “far giustizia” o a evitare futuri reati. Che bisogna “buttare le chiavi” per tutti i detenuti che si sono macchiati di reati gravi, perché se la sono cercata. Che stolti! Un desiderio di giustizia dovrebbe essere trasformare i cattivi in buoni. Il carcere ha clamorosamente fallito il suo obiettivo di far diminuire i reati, anzi li moltiplica ». In realtà, prosegue: «Il carcere dovrebbe cambiare le menti e i cuori dei detenuti, invece li incattivisce. Il carcere dovrebbe essere una medicina, mentre in realtà è una malattia. Non ti lascia lasciar emergere un costruttivo senso di colpa. Il carcere non deve punire, deve guarire». Musumeci parla anche di prevenzione: «La devianza e la criminalità si sconfiggono culturalmente».
«Si parla e si scrive poco delle detenute. Le donne sono trattate anche peggio dei maschi e da subito costrette a perdere la loro femminilità perché in carcere è molto complicato ottenere l’indispensabile per sentirsi donna. Per loro il carcere è molto più terribile che per i maschi, perché varcata la soglia la prima cosa che ti dicono è di spogliarti e di fare le flessioni».
Lui però giustifica il pubblico: « Credo che le persone pensino in un certo modo non perché siano cattive, ma perché fondano le loro convinzioni su una cattiva informazione».
Musumeci esprime, poi, la propria profonda amarezza: «Alcuni politici, per cercare consensi, approfittano delle tematiche securitarie per vincere le elezioni. Quasi nessun politico, invece, si rende conto che in Italia il carcere non funziona, visto che l’ottanta per cento delle persone che entrano in galera, una volta rilasciate, tornano a delinquere e molto presto rientrano in carcere».
Carmelo Musumeci, quindi, si sofferma sul dramma più visibile del carcere, il suicidio dei detenuti. La punta di un iceberg che include i casi di autolesionismo non letali. «Spesso molti mi chiedono perché alcuni prigionieri si tolgono la vita. Penso che, purtroppo, per alcuni detenuti non ci sia così tanta differenza tra trovarsi sepolti sottoterra, o murati vivi in una cella. Purtroppo, quando ti senti solo e la tua vita diventa insopportabile, non è facile trovare la forza per continuare a vivere». Poi aggiunge: «Trovo di pessimo gusto che, quando in carcere un detenuto si toglie la vita, la Polizia penitenziaria chieda miglioramenti sindacali, di organico e finanziari. Credo che i detenuti non abbiano bisogno di agenti penitenziari, quanto piuttosto di educatori, psicologi, magistrati di sorveglianza e, soprattutto, pene alternative. Penso che ci voglia poco per migliorare un prigioniero: basta dargli una speranza che la sua vita possa cambiare. Basterebbe […] il trasferimento in un carcere vicino a casa, una telefonata o un colloquio in più con i cari, una maggiore vivibilità, un semplice ventilatore in cella, o anche qualche ora d’aria in più nei cortili dei passeggi».
Non manca, nel suo libro, la denuncia: «La galera in Italia è spesso una macelleria che non ha alcuna funzione rieducativa o deterrente, come dimostra il fatto che la maggioranza dei detenuti ritorna a delinquere in continuazione. Non è vero che l’illegalità [nelle carceri, N.d.R.] è colpa di alcune “mele marce”. No! Piuttosto è vero il contrario: in carcere ci sono poche mele buone. E’ l’istituzione carceraria che per prima non rispetta le leggi e così il carcere diventa il posto più illegale che ci sia».
Sul sovraffollamento carcerario, Musumeci scrive: «per ogni gallina ovaiola da allevamento, la normativa europea stabilisce debba essere assicurato uno spazio necessario e rispettoso della sua vivibilità, seppur ristretta». Questo la fa «sorridere amaramente, perché questo diritto non è garantito per la popolazione detenuta».
Infine, Musumeci lamenta che, a tutt’oggi, nonostante leggi e sentenze, non trovi applicazione la «questione affettiva dei detenuti». Spiega: «È folle pensare che l’amore non possa fare bene ai prigionieri. Possibile che i nostri politici non comprendano l’importanza del coltivare l’affettività? Salverebbero molte famiglie, molti matrimoni, e darebbero molte più possibilità di reinserimento ai detenuti che, una volta fuori, non si ritroverebbero a vagare da soli, rischiando di ricadere in una nuova devianza».
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