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ONU

Mali: guerra civile infinita nel Sahel, l’impegno ONU appare insufficiente

31 Gennaio 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

MALI-addestramento-a-favore-della-Forza-Armata-Maliana-Fonte-Difesa

La Missione ONU Minusma in corso di svolgimento in Mali – ex colonia francese da 18 milioni d’abitanti divisi in sette etnie principali  – è balzata alla cronaca una decina di giorni fa per il pesante e grave attacco subito dai “caschi blu” ad Aguelhok (nel Nord del Paese, nei pressi del confine coll’Algeria e il Niger) e che è costata la vita, tra gli altri, ad almeno una decina di “caschi blu” del Ciad (25 i feriti).

Dopo le truppe militari provenienti dal vicino Burkina Faso, quelle del Ciad rappresentano il secondo maggior contingente dispiegato in Mali con 1.450 uomini e 22 poliziotti.

Come racconta Andrea De Giorgio sul sito dell’ISPI, sono centinaia i “caschi blu” morti in questa missione che è la «più pericolosa della storia delle Nazioni Unite».

Il Mali, infatti, è attraversato tanto da questioni separatiste (i Tuareg nel 2012 costituirono nel Nord lo Stato indipendente dello Azawad) quanto da scontri religiosi e intercomunitari. Ancora De Giorgio riporta l’ammissione dello scorso febbraio del generale François Lecointre, capo dello Stato Maggiore francese: «Non penso sarà possibile risolvere il problema in Mali in meno di dieci, quindici anni».

L’impegno dell’ONU in Mali

Per lo svolgimento della propria missione di protezione dei civili, l’ONU sta attualmente impiegando 17.123 uomini, schierati nelle principali città maliane tra cui Kidal, Gao, Tomboctu, Mopti, con un costo di circa 1,1 miliardi di dollari annui.

Una missione costellata di insuccessi se solo lo scorso 1 gennaio 37 civili, tra cui donne e bambini, sono rimaste uccisi, nel villaggio di Koulogon, in un attacco da parte di forze non identificate.

Le azioni intraprese in Mali non sono solamente a carattere militare ma anche di sostegno dell’agricoltura, della cultura, dell’informazione, al fine di garantire una stabilizzazione della regione. La missione MINUSMA, a tale proposito, pubblica pure un bollettino settimanale sulle attività in corso nel Paese.

Come spiega il Segretario Generale dell’ONU in un recente rapporto sulla crisi maliana, si sta valutando una ristrutturazione territoriale e amministrativa nonché investendo nel disarmo delle diverse fazioni, nella costruzione di una forza di polizia locale, nella costruzione di scuole, di fabbriche per il trattamento della carne, di punti di approvvigionamento d’acqua. Tuttavia, tanto la situazione dei diritti umani quanto quella umanitaria restano assolutamente precarie e preoccupanti.

Quale l’aiuto dell’Italia al Mali?

L’Italia partecipa da anni a questa missione ONU con ruoli minimi e di retroguardia: «7 militari, impiegati quale personale di Staff nel Quartier Generale militare dell’operazione a Bamako», si legge sul sito del Ministero della Difesa.

Contemporaneamente, l’Italia vi svolge una missione sotto l’egida dell’Europa (“European Union Training Mission”, in sigla EUTM Mali); qui «L’attuale contributo nazionale prevede un impiego massimo di 12 militari, quali istruttori militari e personale di staff» per «fornire addestramento ed assistenza sanitaria a favore delle Forze Armate maliane operanti sotto il controllo delle legittime autorità civili locali, al fine di concorrere al ripristino delle capacità militari necessarie alla riacquisizione dell’integrità territoriale del Paese».

Infine altri 4 militari italiani sono impiegati nella missione “EUCAP SAHEL” che ha il compito di «sostenere le Autorità Maliane nello sviluppo di autonome capacità di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo nel SAHEL».

Dispiegamento-forze-ONU-MINUSMA-in-Mali
Dispiegamento-forze-ONU-MINUSMA-in-Mali

Archiviato in:Estero Contrassegnato con: Africa, Mali, Minusma, ONU

ONU, Comitato contro torture: Italia bocciata

11 Dicembre 2018 by FronteAmpio.it Lascia un commento

tortura

«Il trattenimento in attesa di espulsione dovrebbe essere ulteriormente ridotto e applicato solo a titolo eccezionale». Lo scriveva, giusto un anno fa, il 29 e 30 novembre 2017, il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, nel proprio Rapporto 2017 sull’Italia [clicca sul link per scaricarlo, in francese].

Il Comitato, pur esprimendo la propria soddisfazione per la riduzione da 18 mesi a 90 giorni della detenzione dei richiedenti asilo (sulla base della legge n. 161/2014), insisteva sul fatto che «lo Stato parte dovrebbe garantire che i richiedenti asilo e i migranti irregolari respinti siano trattenuti solo in ultima istanza e, se è necessario trattenerli, per il più breve tempo possibile e che le misure non detentive siano utilizzate ogniqualvolta possibile».

Invece, la strada percorsa dall’Italia, con il recente Decreto Salvini sull’immigrazione, è stata l’opposta con il prolungamento del periodo di detenzione. All’indomani del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani rilevare questo è un’assoluta contraddizione.

In riferimento a tali speciali detenzioni, inoltre, il Comitato raccomandava di «consentire alle organizzazioni non governative per i diritti umani e ad altri attori della società civile di svolgere attività di monitoraggio nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e migranti».

Non era solo questa la preoccupazione espressa sul nostro Paese dal Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite.

Le violenze ad opera delle Forze dell’Ordine

Il Comitato era preoccupato per il numero di feriti durante gli scontri tra i manifestanti e le forze di sicurezza nei movimenti di protesta sociale. In tal senso raccomandava all’Italia di «chiarire le norme sull’uso della forza da parte della polizia e garantire che i membri della polizia possano essere effettivamente identificati in qualsiasi momento nell’esercizio delle loro funzioni».

In merito al funzionamento della Giustizia, poi, raccomandava al nostro Paese di «garantire, di diritto e di fatto, che la custodia cautelare non sia eccessivamente lunga e procedure di perquisizione dei detenuti e dei visitatori nelle carceri non siano degradanti». Ma, soprattutto, il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite esprimeva la propria preoccupazione rispetto al regime di massima sorveglianza previsto dall’articolo 41 bis della legge sul sistema penitenziario. Questo, infatti impone «severe restrizioni alla socializzazione tra detenuti e i contatti dei detenuti con il mondo esterno, in particolare con le loro famiglie; inoltre la videosorveglianza nelle strutture di custodia della polizia non dovrebbe violare la privacy dei detenuti o il loro diritto alla riservatezza delle comunicazioni con il loro avvocato o medico».

Le raccomandazioni dell’ONU all’Italia

Nel concludere il proprio rapporto sull’Italia, e nel rinviare al dicembre 2021 per il successivo, il Comitato rilevava «con preoccupazione che lo Stato non ha ancora creato un‘istituzione nazionale per i diritti umani» e, soprattutto, invitata il Parlamento a modificare l’art. 613 bis del codice penale, approvato col la legge n. 110 del 10 luglio 2017 e che ha istituito il reato di tortura, perché «la definizione di tortura nel diritto interno è troppo lontana da quella contenuta nella Convenzione internazionale contro la tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti e il vuoto giuridico effettivo o potenziale che ne deriva può aprire la strada a l’impunità».

A tutto questo, il governo giallo-nero Di Maio-Salvini-Conte, non ha dato sinora alcun seguito.

Archiviato in:Giustizia & Carceri Contrassegnato con: Giustizia, ONU, Ordine Pubblico

Moltiplicazione di eserciti per … garantire la pace?

20 Ottobre 2018 by FronteAmpio.it Lascia un commento

militare
credit “European Defence Agency”

Non uno ma almeno quattro eserciti. Sono quelli che finanzia l’Italia, in buona compagnia ovviamente.

Tutto ciò perché «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»? Non credo.

LE FORZE ARMATE NAZIONALI

Abbiamo, naturalmente le Forze Armate nazionali, divise in quattro armi (esercito, marina, aeronautica e carabinieri) che servono per la «difesa della Patria, sacro dovere del cittadino».

In particolare, nel 2016, avevamo arruolati poco più di 103.000 carabinieri; solo ai dati 2013 sono aggiornati quelli delle altre Forze Armate che indicano un totale di 172.000 uomini , divisi tra 100.000 militari nell’esercito, 31.000 nella marina, 41.000 nell’aeronautica, oltre a 113 cappellani militari (che, solo loro, costano circa 7,9 milioni di euro) .

Sapere quanto costa quest’apparato è difficile. Le cifre sono nascoste nelle più disparate voci del bilancio dello Stato Italiano. Se ci fermassimo al solo capitolo Difesa e sicurezza del territorio rileveremmo, ad esempio, che la previsione di spesa per il 2018 ammonterebbe a 20.968 milioni di euro. Per avere un metro di paragone, ne spendiamo 7.700 milioni per l’Università o 8.200 per la Giustizia. Per Milex, il totale della spesa per le Forze Armate italiane ammonta a 24.959 milioni di euro per il 2018.

Tabella Spese militari - Milex.org

LE FORZE ARMATE ONU

Facciamo parte, come noto, delle Nazioni Unite, che posseggono delle proprie Forze Armate che svolgono naturalmente delle operazioni di peacekeaping un pò in tutto il pianeta (Americhe escluse) pur tuttavia autorizzate «ad impiegare tutti i mezzi necessari» in talune condizioni.

Si tratta di una forza composta da 90.000 caschi blu, di cui per poco più d’un migliaio italiani, cui s’aggiungono altri 13.000 effettivi delle “Forze di polizia” dell’ONU.

L’Italia contribuisce per il 3,75% al bilancio delle spese globali di “peacekeaping” ONU che «è di circa 6,7 miliardi di dollari». Circa 155 milioni di euro la nostra quota, a conti fatti.

LE FORZE ARMATE NATO

Facciamo parte, poi, dell’Alleanza Nord Atlantica, la NATO, organizzazione che ha come finalità quella di «garantire la libertà e la sicurezza dei suoi membri attraverso mezzi politici e militari». La stima 2017 del contributo italiano alla NATO ammonta a 23.369 milioni di dollari (20,8 miliardi di euro), ogni cittadino italiano contribuisce per 391 dollari annui. Si tratta, comunque, di una piccola parte dell’intero budget di spesa dell’organizzazione che raggiunge la stratosferica somma di 956.974 milioni di dollari.

LE FORZE ARMATE EUROPEE

Naturalmente non dobbiamo dimenticare che facciamo parte anche del PSDC, la Politica di Sicurezza e Difesa Comune europea (ex PESC), che opera, tra le altre tramite EDA, l’Agenzia Europea della Difesa, il cui impegno è volto a «migliorare le capacità difensive europee nel campo della gestione delle crisi»  e il “Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE)” . Il budget dell’EDA, per il 2017, ammonta ad appena 31 milioni di euro.

CONCLUSIONI

Un tale impegno dell’Italia, a favore della pace e della libertà dei Popoli è evidentemente apprezzabile. Probabilmente, un pari impegno contro le diseguaglianze avrebbe avuto, però, un migliore esito.

– – –

APPROFONDIMENTI:

COSTI E MISSIONI NAZIONALI

In merito alla spesa complessiva, come detto, la spesa riferibile al sistema militare viene abilmente nascosta dentro anche altri capitoli (MISE, MEF).

Giovanni Martinelli su “Analisi Difesa” , a febbraio 2017, solo per esempio, ci ricordava come, il MISE, cioè il Ministero dello Sviluppo Economico, «per il 2017 potrebbe in realtà presentare cifre non così diverse da quelle dell’anno scorso e pari a 4.716,8 milioni di euro» in quanto a spese con destinazione militare. A queste spese, poi, bisogna aggiungere, ancora, quelle a carico del MEF, il Ministero dell’Economia e Finanza, che coprono le missioni militari all’estero (1.282 milioni di euro per il 2017).

Sulla base di semplici Accordi bilaterali, le nostre Forze Armate si trovano in Iraq (250 unità​ a Erbil e Baghdad) per «per sconfiggere l’organizzazione terroristica» dell’ISIL (già ISIS), in Libia (missione MIASIT) e Libano (missione MIBIL).

MISSIONI ONU

Sotto l’egida dei Caschi blu, siamo impegnati, dall’1 novembre 2006, in Libano, con 1.100 militari, 278 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei per la missione UNIFIL – Operazione Leonte, dove agiamo come forze cuscinetto tra Libano e Israele. In atto l’Italia, qui, annovera 4 militari caduti.

Siamo presenti, pure, con 7 militari in Mali (missione MINUSMA ), con 4 carabinieri a Cipro (missione UNFICYP), con 2 militari al confine tra India e Pakistan (missioni UNMOGIP).

missioni_onu

MISSIONI NATO

Sotto l’egida NATO, siamo attualmente impegnati:

  • In Afghanistan, a Kabul e Herat, con 900 militari, 148 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, 50 i militari italiani morti sul posto,
  • A Gibuti, con 407 militari, 2 mezzi navali e 2 mezzi aerei per protezione dagli atti di pirateria al naviglio mercantile che transita attraverso il Golfo di Aden,
  • In Kosovo, con 538 militari, 202 mezzi terrestri e 1 mezzo aereo – e 5 militari caduti -,
  • Di pattugliamento nel Mediterraneo, con 287 militari, 2 mezzi navali e 2 mezzi aerei.

MISSIONI EUROPEE

Le missioni, prevalentemente nel continente africano, evidentemente, sono a carico dei bilanci nazionali. In particolare, stiamo (missione EUTM) in Somalia a Mogadiscio, con 123 militari e 20 mezzi terrestri e in Mali con un nucleo di istruttori dell’Esercito per «contrastare i gruppi terroristici/milizie irregolari operanti nel Paese africano».

csdp_missions.map_2018

Archiviato in:Giustizia & Carceri Contrassegnato con: Forze Armate, Missioni, NATO, ONU, Spesa militare, UE

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No al green pass della vergogna!

Petizione contro il "green pass della vergogna" indirizzata ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari della Camera dei deputati.

Sì, firmo ora!
440 firme

No al green pass della vergogna

Ai Sigg. Presidenti dei Gruppi Parlamentari della Camera

Sig.ra/Sig. Presidente,

da oltre un anno e mezzo il popolo italiano subisce limitazioni radicali a diritti e libertà considerate fondamentali dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Dichiarazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.

Se accettiamo che i principi fondamentali dello Stato di diritto possano essere sospesi oggi, in nome della gestione della pandemia, dobbiamo sapere che stiamo consegnando al futuro la possibilità di prendere direzioni diverse dalla democrazia in nome di qualsiasi altra minaccia che dovesse presentarsi, di origine umana o naturale

Il green pass colpisce una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita [non vaccinarsi], che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta

Il “green pass” della vergogna viola:

  • l’articolo 1 della Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione,
  • gli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana,
  • l’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE,
  • l’articolo 2 e 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,
  • l’articolo 14 della Convenzione Europea sui Diritti Umani,
  • l’articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea,
  • e, infine, la Risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa approvata il 27/01/2021 che, al punto 7.3, vieta ogni forma di discriminazione per chi scelga di non vaccinarsi.

Le ragioni emergenziali non possono essere utilizzate come scudo per sospendere e annullare diritti considerati intangibili dai Padri Costituenti e dalla comunità internazionale

Pertanto, si chiede che l’emergenza sanitaria sia affrontata senza derogare di un passo dal percorso della civiltà del diritto.

**la tua firma**

Questa petizione è chiusa.

Data di scadenza: Sep 10, 2021

Firme raccolte: 440

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