Un normale Primo maggio di inaudita violenza

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Scene da “macelleria messicana”. Sono quelle con le quali, sempre più, stiamo convivendo. Oramai sembriamo assuefatti a tale violenza, stiamo arrivando a credere che, in una società civile e democratica, sia normale che la polizia preventivamente “carichi” cittadini, manifestanti.

La colpa, il “reato” di questi cittadini? Essere là, in piazza. La punizione per questo reato? Erogazione sul posto di abbondanti piogge di gas tossici e “sane” manganellate “nel mucchio”, a chi capita capita. Le normali procedure di un paese civile, identificazione, denuncia e processo per chi personalmente s’è macchinato di un qualche reato? Quelle sono sospese. Com’è sospesa la Costituzione e la democrazia.

Scene da “macelleria messicana”. Le abbiamo viste, da settimane, 24 ormai, in Francia. Ieri, ma non è la prima volta, in Italia, a Torino.

I fatti di Torino: la polizia carica i No Tav

A Torino, la Polizia “allontana”, a forza manganellate, dei manifestanti da una piazza piuttosto che altri. Quasi che – grida qualcuno all’altoparlante – fosse il ministro dell’interni Salvini a poter stabilire chi possa manifestare e cosa si possa dire.

https://www.facebook.com/PressenzaItalia/videos/2206960216223055/

Le immagini dei fatti sono eloquenti e crude. La cosa che fa più senso è l’immunità che tali “operatori” si sentono garantita nonostante la loro azione sia fotografata e filmata da numerose persone.

«In via Roma, a pochi passi dall’arrivo in Piazza San Carlo, luogo del comizio finale, la polizia ha spezzato il corteo e caricato i notav, semplicemente per non farci arrivare mentre ancora parlavano i sindacati dal palco. Insomma per evitare qualche fischio non hanno esitato a picchiare giovani ed anziani provocando almeno una decina di feriti», raccontano i No Tav sul proprio sito web.

E qui non intendo difendere chi, tra i manifestanti di Torino, i No Tav, abbia usato esso stesso della violenza gratuita sui poliziotti e neanche difendere chi vuole impedire o disturbare un comizio di altri. Non intendo sottacere che, spesso, in mezzo ai manifestanti pacifici ci siano dei violenti e anche dei veri criminali. Tuttavia, è inammissibile che proprio chi avrebbe il compito di difendere la Legge, e soprattutto i cittadini, si macchi di mai giustificabili azioni violente.

E qui si dovrebbe riaprire il dibattito sui “codici d’identificazione” che dovrebbero portare le forze di sicurezza sui propri caschi secondo l’appello lanciato da tempo da parte di Amnesty international.

I fatti di Parigi: la polizia gasa anche il sindacato

Eventi analoghi, se non più gravi, avvengono in Francia, soprattutto a Parigi, in occasione delle manifestazioni del movimento dei “Gilet Jaunes”, i gilet gialli. Centinaia di arresti, spesso illegali, zone “rosse” vietate ai cortei, giornalisti impediti nel proprio lavoro di documentazione, gente selvaggiamente picchiata dai poliziotti, manifestanti svenuti per i ravvicinati scoppi delle bombe a gas scagliate dagli agenti, numerosi cittadini rimasti senza un occhio o una mano.

La differenza, tra l’Italia e la Francia, però, è lì c’è stampa che denuncia i fatti, tanto le violenze di alcuni manifestanti, quanto di alcuni gendarmi.

Lì, in Francia, la TV si domanda se sia un “buon metodo” quello usato della polizia per mantenere l’ordine pubblico!

Philippe Martinez, segretario generale del sindacato CGT – la nostra CIGL -, ha denunciato, riporta il giornale “Le Figaro” una «repressione inaudita e senza discernimento» da parte della polizia. Lui stesso ha subito, nelle proprie vicinanze, lo scoppio di una bomba a gas lacrimogeno: «non è piacevole essere gasati!», ha spiegato. «Noi condanniamo tutte le violenze – ha aggiunto -. E’ inammissibile ascoltare dei “black blocs” gridare alla polizia “suicidatevi”».

Il sindacalista ha precisato di non avercela contro i poliziotti ma contro «chi ha dato gli ordini»: le «responsabilità» sono del ministero degli interni Christophe Castaner e del prefetto ha concluso.

Dichiarazioni che, esse, qui sarebbero e sono inaudite.

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Natale Salvo

Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale. Allenatore di una squadretta di calcio di periferia, presidente del circolo di Legambiente, candidato sindaco per il Partito Umanista. Infine blogger d’inchiesta; ha pagato le sue denunce di cattiva amministrazione con una persecuzione per via giudiziaria. E' autore del libro "La rivoluzione copernicana chiamata Reddito di Base", edito da Multimage, Firenze.

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