Youtube censura ancora: il caso Tommasin

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«La libertà digitale si dà spesso per scontata. Ma oggi, un algoritmo o una segnalazione coordinata possono cancellare anni di lavoro e memoria in un clic». Davide Tommasin, attivista dei diritti umani e blogger, denuncia così la sua recente disavventura con YouTube: bannato senza un perché!

Tommasin non è il primo (non dimentichiamo il caso Byoblu, anch’esso bannato da YouTube o quello di Sara Curial cancellata da Facebook), né sarà l’ultimo, finché questi servizi privati, pur svolgendo un servizio pubblico di comunicazione, non verranno regolati oppure abbandonati in favore di spazi social open source, decentralizzati, autogestiti.

Denunciare a posteriori non basta. Affidare interamente la propria “vita” digitale a piattaforme commerciali significa rinunciare al controllo, alla trasparenza, alla possibilità di difendersi. L’arbitro è giudice e parte, e il campo non è nemmeno nostro.

«Da oltre 15 anni – racconta sul proprio blog [1] – utilizzavo il mio canale YouTube per condividere contenuti personali, video di giri in bicicletta; negli ultimi 2, riflessioni su temi di attualità e diritti umani legati principalmente al Tigray, in Etiopia. Una piccola raccolta indipendente, cresciuta nel tempo senza grandi numeri, ma con autenticità».

Tommasin poi spiega la propria disavventura:

«Di recente, ho deciso di pubblicare 3 video riguardanti la condizione drammatica dei rifugiati ad Agadez, Niger. Pochi giorni dopo aver caricato questi contenuti, ho ricevuto da YouTube una comunicazione laconica: il mio canale era stato chiuso per presunte “violazioni delle norme su spam, frodi o pratiche ingannevoli” ed il mio account bannato dalla piattaforma. Nessuna indicazione precisa sul video incriminato. Nessun avviso precedente. Nessuna possibilità di difendermi in modo diretto. Solo un modulo standard per presentare ricorso, che ho compilato immediatamente. La sera stessa, dopo poche ore, ho scoperto che la pratica era già stata “riesaminata” e che la chiusura del canale veniva confermata».

Questo episodio non è solo la storia di un attivista censurato: è il paradigma della fragilità dei nostri diritti digitali quando affidati a piattaforme governate da algoritmi proprietari e regole opache come avviene su Youtube, su Facebook ma non solo. Nessun giudice, nessuna trasparenza, nessun contraddittorio. Solo silenzio e automatismi.

Tommasin bannato da Youtube: denunciare dopo non serve

Gli Stati e i governi, troppo spesso dipendenti da questi Giganti del Web, non solo non intervengono, ma ne assecondano il potere. I colossi tech eludono le tasse, sfuggono alle giurisdizioni locali, e impongono regole unilaterali, con la complicità dell’inazione politica. Il consumatore – o meglio, il cittadino – resta indifeso.

Esistono denunce ben più gravi della sua:

Le alternative esistono: reti federate come Mastodon, piattaforme video come PeerTube, e community indipendenti che mettono al centro l’utente e la trasparenza.

Ma senza consapevolezza e migrazione attiva, resteranno nicchie invisibili.

La libertà digitale non si difende con un reclamo. Si difende scegliendo spazi digitali che rispettano i diritti, costruiti su governance condivisa e non su interessi commerciali. Chi tace oggi, sarà censurato domani.

Fonti e Note:

[1] Tommasin.org, 16 maggio 2025, “Contenuti scomodi: ban definitivo da Youtube & blocco su X (ex Twitter)”.

[2] Amnesty International, 12 novembre 2024, “Denmark: AI-powered welfare system fuels mass surveillance and risks discriminating against marginalized groups – report”. 

“Il rapporto “Ingiustizia codificata: sorveglianza e discriminazione nello stato sociale automatizzato della Danimarca“, illustra in dettaglio come l’uso radicale di algoritmi di rilevamento delle frodi, abbinato a pratiche di sorveglianza di massa, abbia portato le persone a non volentieri – o anche inconsapevolmente – a rinunciare al loro diritto alla privacy, e creato un’atmosfera di paura. Questa vasta macchina di sorveglianza viene utilizzata per documentare e costruire una vista panoramica della vita di una persona che è spesso disconnessa dalla realtà. Tiene traccia e monitora dove un richiedente di prestazioni sociali vive, lavora, la sua storia di viaggio, i registri sanitari e persino i suoi legami con paesi stranieri“. 

[3] Human Rights Watch, 20 dicembre 2023, “Meta: Systemic Censorship of Palestine Content”.

“Human Rights Watch ha scoperto che il problema deriva dalle politiche Meta imperfette e dalla loro attuazione incoerente ed errata, dall’eccessiva dipendenza dagli strumenti automatizzati per moderare i contenuti e dall’indebita influenza del governo sulla rimozione dei contenuti. Human Rights Watch ha identificato sei modelli chiave di censura, ciascuno ricorrente in almeno 100 casi:

  • rimozione dei contenuti,
  • sospensione o cancellazione degli account,
  • incapacità di interagire con i contenuti,
  • incapacità di seguire o taggare account,
  • restrizioni sull’uso di funzionalità come Instagram / Facebook Live
  • e “divieto ombra” un termine che indica una riduzione significativa della visibilità dei post, delle storie o dell’account di un individuo senza notifica”.
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Natale Salvo

Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale. Allenatore di una squadretta di calcio di periferia, presidente del circolo di Legambiente, candidato sindaco per il Partito Umanista. Infine blogger d’inchiesta; ha pagato le sue denunce di cattiva amministrazione con una persecuzione per via giudiziaria. E' autore del libro "La rivoluzione copernicana chiamata Reddito di Base", edito da Multimage, Firenze.

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