Su Gaza, social quali Facebook manipolano il tuo feed!
« In tempi di crisi umanitaria, le piattaforme di social media si sono rivelate l’unico mezzo per documentare eventi ed informare le persone in tutto il mondo sugli abusi e sulle sofferenze sul campo. Le piattaforme che scelgono però di discriminare determinate identità rappresentano una grave violazione dei diritti umani e creano un apartheid digitale che non fa altro che esacerbare la crisi ». A denunciarlo su Global Voice [1] è Seerat Khan, responsabile di Digital Rights Foundation in Pakistan.
Ad esempio, nell’attuale crisi militare ed umanitaria in corso a Gaza, in Palestina, « data la copertura inadeguata e parziale da parte dei principali media internazionali, le piattaforme di social media dovrebbero servire come mezzo per consentire ai palestinesi di condividere la loro narrativa ».
« Tuttavia, la realtà differisce in modo significativo – denuncia il difensore dei diritti umani -. Queste piattaforme censurano pesantemente le voci palestinesi, mettono al bando i palestinesi e i loro sostenitori ».
Facebook, Twitter, Tik Tok, YouTube – del software di proprietà del gigante Google abbiamo già scritto – « violano i loro diritti alla libertà di parola, di riunione, di accesso alle informazioni, di partecipazione politica ».
L’apartheid digitale mette in luce « i limiti di Internet e il modo in cui le grandi piattaforme tecnologiche hanno il potere di scegliere i contenuti che vediamo sui nostri feed », scrive Seerat Khan.
I social, Facebook, Twitter, Tik Tok, YouTube, a volte soffocano o censurano le voci politiche che si oppongono al governo, o comunque al pensiero della maggioranza e che deve diventare – nei desideri di chi governa “l’informazione” – il “pensiero unico”.
Facebook e gli altri social: tra shadow banning e “regole” ballerine
« Ultimamente l’ondata di censura è stata rafforzata dalle piattaforme attraverso lo “shadow banning”, una forma di censura che limita la visibilità di determinati contenuti senza avvisare gli utenti », rivela Seerat Khan.
Assieme all’accusa di presunte “violazioni delle linee guida della community“, quello dello “shadow banning“, è usato dai social come Facebook, Twitter, Tik Tok, e YouTube « per mettere a tacere le voci che parlano dell’attuale genocidio dei palestinesi che si sta verificando dal 9 ottobre ».
Contro la censura, due soluzioni: l’inganno o la fuga altrove
Per frenare questo ostacolo mirato da parte delle piattaforme di social media, alcuni utenti su Internet stanno provando a “ingannare gli algoritmi” automatizzati: « alcuni utenti stanno adottando il “algospeak”, con il quale creano nuove parole al posto delle parole chiave in modo che non vengano rilevate dagli algoritmi e rimosse dalle piattaforme », spiega Seerat Khan su Global Voice.
Altri, aggiungo io, stanno migrando su altre piattaforme social, ad esempio Mastodon, non governate dagli “algoritmi“, e dove la censura è sostituita dal potere di scegliere il server – insomma il “canale” – dove prendere “casa”.
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Fonti e Note:
[1] Global Voice, 14 novembre 2023, Seerat Khan, “Digital apartheid and the use of social media algorithms in humanitarian crises”.
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