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Belgio

Bruxelles: achACT denuncia lo sfruttamento delle lavoratrici Uzbeke e Indiane

17 Ottobre 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

Lavoratrice tessile indiana ©  Stefanne Prijot
Lavoratrice tessile indiana © Stefanne Prijot

Prosegue, a Bruxelles, il « Festival della Solidarietà », che è solamente una delle campagne e degli eventi promossi dalla Città capitale d’Europa sul tema della solidarietà internazionale.

Tra gli altri, si elencano i gemellaggi con città del Marocco e del Congo, il sostegno al « commercio equo e solidale », l’istituzione di un Consiglio consultivo per la solidarietà internazionale (CCSI), un piccolo sostegno economico ai progetti di cooperazione ed educazione nei Paesi in via di sviluppo.

Dopo « Nous venons en amis », ieri sera ho assistito alla proizione di « La vita di una piccola culotte e di quelle che le fabbricano » (« The Story of a Panty and of Those Who Make It  » ). Il documentario, prodotto da Lea, è stato proiettato in una sala del centralissimo Cinéma des Galeries davanti a circa 200 spettatori ed alla presenza sia di una responsabile della ONG achACT che della regista e sceneggiatrice del documentario, la giovane belga Stéfanne Prijot.

Il film, della durata di circa 50 minuti, uscito lo scorso anno, mette il consumatore di fronte a quelle responsabilità etiche che non vorrebbe conoscere. Perchè costa cosi poco l’abbigliamento? Dove viene prodotto? Quanto sono pagate le lavoratrici dell’industria tessile e quali sono le loro condizioni di lavoro e di vita? Quali le responsabilità etiche delle multinazionali delle Grandi Marche?

Dietro una piccola culotte, una mutanda, c’è sempre il sacrificio di una ragazza, di una donna. Viene costretta ad abbandonare precocemente gli studi e, per un tozzo di pane (appena 36-130 euro al mese) insufficiente pure a sopravvivere, trasformata in una nuova schiava nella raccolta e lavorazione del cotone.

Nei campi in Uzbekistan, nelle fabbriche di filatura in India o nelle tintorie in Indonesia la sitazione è sempre la stessa. Donne costrette ad alzarsi alle 4 del mattino per svolgere le faccende domestiche (lavare a mano gli indumenti, lavare e riordinare la loro povera casa, preparare la colazione ai figli) e poi, alle 6, recarsi al lavoro dal quale ritornano solo 13-14 ore dopo.

In India, se possibile, la situazione è ancora peggiore. Qui le ragazze vengono letteralmente detenute, per 2-3 anni, dentro le fabbriche ed escono solo in cambio della detenzione, a loro volta, di una sorella.

Lavorazioni, nei campi e nelle fabbriche, senza alcun rispetto per la salute dell’ambiente e delle lavoratrici: acque delle lavorazioni chimiche riversate nei campi ad inquinare le falde acquifere, nessuna tutela durante l’uso delle sostanze chimiche (con conseguenti tumori, …).

Il consumatore ha scelta in tutto questo? No. Oggi, con la globalizzazione, ogni prodotto tessile o calzatura, è realizzato in Asia, Africa o nell’Europa dell’Est (Bulgaria, Romania) nelle condizioni descritte.

AchACT, quindi, spinge per azioni a livello superiore, governativo e sovrannazionale, per sostenere i Diritti Umani delle lavoratrici dell’industria tessile. In tal senso ha lanciato l’hashtag #DroitsHumains, degli appelli al governo belga, ed una campagna d’informazione che include la proiezione del film « La vita di una piccola culotte e di quelle che le fabbricano ».

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Ixelles: Con Singa il migrante non è più solo

16 Ottobre 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

Tavola di conversazione © nedaca.be

Singa, in lingua Lingala, una delle lingue bantù parlate in Congo, significa « il filo », « il collegamento ». Singa è anche il nome di un movimento mondiale, di associazioni, presenti in Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Marocco e Canadà, che desiderano creare questi « legami » tra gli esseri umani.

Diverse le modalità di creare questi legami.

Ieri, ad esempio, come ogni martedi, due volontari dell’asbl (ONG) Singa di Bruxelles, hanno tenuto una « tavola di conversazione » per soggetti apprendenti la lingua francese. Ospiti della biblioteca di Ixelles, uno dei 19 comuni della regione della capitale, erano presenti circa quindici donne e uomini provenienti da ogni angolo del mondo. C’erano il giapponese, il rumeno, il somalo, il senegalese, il siriano e il libico; ma anche la ragazza etiope, quella marocchina e quella tunisina.

I volontari di Singa, per due ore, hanno stimolato i presenti ad esprimersi in lingua francese, ma anche a raccontarsi. Il giapponese conosceva diverse parole in francese, ma aveva difficoltà a formare una frase; desiderava imparare ad esprimersi per parlare più facilmente col compagno con cui si era sposato. Il siriano, un giovane sarto e stiratore, oltre che migliorare le proprie capacità d’espressione cercava dei suggerimenti per avere maggiore opportunità di lavoro; essere indirizzato ad una scuola di formazione.

Quali sono i principali ostacoli che incontrano i nuovi arrivati in un Paese? La mancanza di contatti con la società che li ha accolti, l’assenza di legami sociali.

Sono queste la domanda e la risposta che sono alla base della nascita della ONG, nel 2016.

I suoi promotori si sono resi conto che questi ostacoli, in breve, isolano progressivamente i nuovi arrivati, i migranti. In particolare, sono ostacoli con cui si confrontano i « richiedenti asilo » e coloro che hanno già ottenuto lo statuto di « rifugiati ». Loro, per tale causa, non avranno possibilità di praticare la lingua del Paese che li accoglie, avranno difficoltà a trovare un alloggio e opportunità di lavoro e di svago. In breve, perderanno fiducia in se stessi, nel proprio progetto e nelle proprie competenze.

L’associazione SINGA, quindi, in generale, si propone di favorire l’integrazione, e combattere l’isolamento sociale. Questo creando spazi di incontro, scambio e collaborazione tra i nuovi arrivati e la popolazione locale. L’obiettivo è quello di costruire una società ricca della sua diversità, dove ognuno, qualunque sia la sua origine, può realizzare appieno le proprie potenzialità.

Tra le attività svolte dai vari gruppi si spazia da quelle artistiche e socio-culturali a quelle sportive, dalla scrittura alla corsa, dallo yoga alla pittura. Esiste anche il programma « CALM » che include l’individuazione di un posto da prendere in affitto, ma anche lo studio delle abitudini e delle regole di vita del Paese ospitante. Quindi il programma « BUDDY » che mette in collegamento il migrante con un’altra persona locale che ha gli stessi interessi.

Ma l’attività « faro » è la « BLABLA », ovvero le « tavole di conversazione », di chiacchiera (« papeter ») su temi d’attualità, ma anche di lavoro a maglia o semplicemente delle riunioni per scherzare o giocare.

In definitiva, con Singa, ma anche con altri progetti associativi analoghi, il volontariato giunge a integrare o sostituire quei servizi di coesione sociale che spesso Stato o Comune non sono capaci di offrire.

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Bruxelles, Festival della Solidarietà: proiettato «Nous venons en amis»

15 Ottobre 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

Un variegato programma di conferenze, mostre, cineclub, laboratori creativi, installazioni artistiche è in corso di svolgimento, a Bruxelles, sul tema delle diseguaglianze e sul come ridurle.

Alla «Quindicina della solidarietà internazionale», cosi si chiama il programma, ieri sera è stata la volta della proiezione del documentario «We Come as Friends» («Nous venons en amis», 110 min.) nella piccola sala del centrale «Cinèma Aventure» davanti ad una sessantina di attenti spettatori.

Per chi, come chi scrive, non ha una profonda conoscenza della situazione africana, o comunque ne ha solo letto, c’è un prima e un dopo l’aver visto le crude immagini ed aver ascoltato le voci di «Nous venons en amis».

Solo dopo averlo visto, appare pienamente, nella sua crudeltà e cinicità, l’opera dell’uomo bianco: il furto delle terre per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio e dei vari minerali (oro, …), la violenza con cui si svolge il proselitismo della religione cristiana e cancellata la cultura locale, perfino l’abbigliamento tradizionale. I sudanesi ricevono il «progresso» (i vestiti, le scuole, l’energia elettrica, la pepsi cola, ad esempio), ma la pagano a caro prezzo: la schiavitù nelle miniere, l’arruolamento militare, le falde acquifere inquinate, i campi invasi di spazzatura consumistica (plastica, …).

«Nous venons en amis» è un film-verità sulle condizioni di vita e sulla nascita del Sud-Sudan, paese che si sviluppa lungo il Nilo Bianco, la nazione più giovane al mondo essendo nata solo nel 2011, a seguito di un referendum che l’ha diviso dal resto del Sudan.

Nel 2015, anno dell’uscita del documentario, ha vinto il «Peace Film Prize» al Festival internazionale del cinema di Berlino. Per la giuria del festival, il film «mostra come oggi si ripetano infallibilmente gli errori del passato coloniale».

Prima della proiezione, e nel partecipato dibattito successivo, promosso dalla ONG «Coopération par l’Éducation et la Culture (CEC)», il regista e co-produttore austro-francese Hubert Sauper, ha tenuto a sottolineare che la situazione del Sud-Sudan è similare a quella degli altri paesi sub-sahariani. Sauper è giunto ad affermare le responsabilità delle Nazioni Unite in tutto questo: per il regista l’ONU è funzionale all’imperialismo americano!

La nascita del Sud-Sudan, in particolare, spiega Sauper, è stato voluta da George Bush padre per colonizzare quell’area cosi ricca e strapparla ai cinesi che si erano installati in Sudan per, a loro volta, lucrare sul petrolio con vantaggiosi «accordi commerciali».

L’Africa, e le politiche coloniali, schiaviste e globalizzanti delle grandi potenze militari sembrano essere un «ossessione» per Hubert Sauper, già autore, nel 2004, di «Darwin’s Nightmare» («L’incubo di Darwin») ambientato in Tanzania e che, vinse il Venezia Film Festival, il César Awards ed ottenne, nel 2006, la nomination agli Oscar come migliore documentario.

Al termine della proiezione e del dibattito, Julien Truddaiu della ONG CEC ha chiesto a Hubert Sauper cosa possiamo fare una volta usciti dal cinema. Il regista non ha voluto rispondere. Io credo che basti, per cominciare, far circolare in film. Il film in lingua originale (a seconda chi viene intervistato: inglese, cinese e arabo), sottotitolato in francese, è acquistabile su Amazon.

–
Approfondimento (FR) :
« Dossier de presse / pédagogique » [PDF]

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Molenbeek : inaugurato il Museo delle Migrazioni

14 Ottobre 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

Bruxelles si arricchisce di un nuovo museo : il « Museo delle Migrazioni ». La struttura è stata inaugurata nel comune di Molenbeek lo scorso sabato 12 ottobre, grazie all’impegno dell’associazione « Foyer » ed al contributo finanziario della comunità fiamminga.

In un’epoca in cui il diverso, lo straniero in particolare, sono visti come nemici, si sentiva il bisogno di umanizzare le migrazioni, dando ad ognuno un volto, una voce, degli oggetti, una storia.

Qui sta l’idea vincente del piccolo museo.

Dopo aver osservato, nel giardino posteriore dell’immobile, un’installazione in legno che ricorda una delle tante imbarcazioni (opera dell’artista d’origine avolese Elia Li Gioi) che, attraverso il mar Mediterraneo, hanno trasportato migliaia di essere umani alla ricerca di un futuro migliore, si accede al primo piano.

Qui, ai visitatori, sono offerti due percorsi.

Nel primo, quello storico, una serie di pannelli, sintetici ma ricchi d’immagini d’epoca, raccontano la storia delle migrazioni in Belgio a partire della seconda guerra mondiale. Si evidenziano due fasi. Nella prima, che dura fino a circa gli anni ottanta, il Belgio cerca stranieri da sfruttare nelle proprie miniere; prima gli italiani e, poi, dopo la tragedia di Marcinelle, spagnoli, greci, marocchini, turchi. Nella seconda, al contrario, s’iniziano ad innalzare dei « muri », almeno culturali, pur contemporaneamente rispettando i diritti d’asilo imposti dai trattati delle Nazioni Unite.

Questo percorso si conclude con uno schermo interattivo che evidenzia, decennio dopo decennio, sino ai giorni nostri, l’evoluzione della presenza dei non belgi nei vari comuni di Bruxelles.

Col secondo percorso, invece, è possibile leggere (ma anche ascoltare con apposite cuffie) le storie, i pensieri e le emozioni di tanti immigrati, marocchini ma anche italiani, osservare degli oggetti cui sono legati (dal permesso di soggiorno fino ad una macchinetta da caffè; alcune foto di famiglia).

Sabato, all’inaugurazione, ad accogliere i visitatori, un panettiere che sfornava sul posto diversi tipi di pane (turco, pakistano, …) ed, egualmente; delle donne, marocchine e pakistane; che porgevano del the nelle versioni dei propri paesi d’origine.

Si provava, in definitiva, a far cogliere, nel visitatore, la ricchezza della diversità.

La parte più divertente della mostra era rappresentata dalla possibilità di farsi fotografare con un’apposita macchina. La stampante, immediatamente dopo, riproduceva un’immagine artificialmente ingiallita che era possibile applicare, su una mappa del globo, nel luogo della propria origine.

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Schaerbeek festeggia i 10 anni della nuova biblioteca

14 Ottobre 2019 by FronteAmpio.it Lascia un commento

Biblioteca-Schaerbeek-Sala-ragazzi

«Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo» (Gianni Rodari).

La biblioteca Sesamo di Schaerbeek sabato ha spento le candeline del suo decimo anniversario. Non che Schaerbeek abbia una biblioteca da soli dieci anni. Già nel 1873, la Lega degli insegnanti sosteneva una biblioteca dentro i locali del municipio. Ma, semplicemente, la Sesamo, che è la più grande delle tre attuali biblioteche comunali, si é installata nella nuova sede da dieci anni.

Biblioteca Schaerbeek - Ingresso

Si tratta di più di 1.400 metri quadri su tre elevazioni.

La Sesamo è una biblioteca moderna che, a fianco ai classici servizi di lettura e prestito, offre una sala per la lettura dei giornali quotidiani e delle riviste, nonchè delle postazioni informatiche. I suoi fiori all’occhiello sono rappresentati, tuttavia, dalla sala lettura per i ragazzi, dal piccolo anfiteatro dove si svolgono conferenze, spettacoli, laboratori, incontri del club di lettura (un martedi sera al mese) e, infine, dalla ludoteca.

Sabato oltre una cinquantina di bambini, assieme ai loro genitori, hanno seguito le numerose letture creative di piccoli racconti offerte loro. Contemporaneamente, curiosi animatori si aggiravano nei locali.

Nel breve discorso d’occasione che ha proceduto un piccolo rinfresco offerto agli utenti, è stato sottolineato il ruolo della biblioteca. Questo non è solo quello di proseguire ed integrare l’istruzione offerta dalla scuola bensì di formare il cittadino.

In tal senso é stata sottolineata, proprio dall’ex assessore alla cultura Georges Verzin (MR), l’importanza della presenza della ludoteca. Il servizio permette di collegare il gioco all’ambiente della biblioteca e ne incentiva la frequenza.

Questo non é una cosa da poco in una cittadina, quale è Schaerbeek, uno dei 19 comuni che compongono la regione di Bruxelles. Dei suoi 127.525 abitanti, infatti, il 36% sono stranieri. In particolare, le più grandi comunità straniere sono cosi suddivise: 5.217 bulgari, 5.032 marocchini, 4.543 rumeni, 3.482 turchi, 3.405 polacchi, 2.825 italiani.

Una insalata di lingue, di culture, che trovano, anche nella biblioteca Sesamo, un luogo d’incontro, di scambio, di socializzazione.

Biblioteca Schaerbeek - Ludoteca

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No al green pass della vergogna!

Petizione contro il "green pass della vergogna" indirizzata ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari della Camera dei deputati.

Sì, firmo ora!
440 firme

No al green pass della vergogna

Ai Sigg. Presidenti dei Gruppi Parlamentari della Camera

Sig.ra/Sig. Presidente,

da oltre un anno e mezzo il popolo italiano subisce limitazioni radicali a diritti e libertà considerate fondamentali dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Dichiarazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.

Se accettiamo che i principi fondamentali dello Stato di diritto possano essere sospesi oggi, in nome della gestione della pandemia, dobbiamo sapere che stiamo consegnando al futuro la possibilità di prendere direzioni diverse dalla democrazia in nome di qualsiasi altra minaccia che dovesse presentarsi, di origine umana o naturale

Il green pass colpisce una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita [non vaccinarsi], che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta

Il “green pass” della vergogna viola:

  • l’articolo 1 della Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione,
  • gli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana,
  • l’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE,
  • l’articolo 2 e 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,
  • l’articolo 14 della Convenzione Europea sui Diritti Umani,
  • l’articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea,
  • e, infine, la Risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa approvata il 27/01/2021 che, al punto 7.3, vieta ogni forma di discriminazione per chi scelga di non vaccinarsi.

Le ragioni emergenziali non possono essere utilizzate come scudo per sospendere e annullare diritti considerati intangibili dai Padri Costituenti e dalla comunità internazionale

Pertanto, si chiede che l’emergenza sanitaria sia affrontata senza derogare di un passo dal percorso della civiltà del diritto.

**la tua firma**

Questa petizione è chiusa.

Data di scadenza: Sep 10, 2021

Firme raccolte: 440

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